Metamorfosi, ibridazioni, alienità – Fantaxìa 2023

Metamorfosi, ibridazioni, alienità – Fantaxìa 2023

Metamorfosi, ibridazioni, alienità – Fantaxìa 2023

Metamorfosi, ibridazioni, alienità

Il 10 giugno ho partecipato come relatrice alla bella manifestazione “Fantaxìa – il gioco dei mondi” che si è tenuta a Genova, organizzata dall’Associazione Ludico Culturale “La Dimora” che ringrazio, come sempre, per la loro passione e il loro lavoro. È stata infatti una bella esperienza, e una speciale occasione di confronto e riflessione.

Vista la presenza di qualche ostacolo tecnico, non ho mostrato le slide che avevo preparato (con il pc lontano avrei dovuto correre aventi e indietro, ingolfando la presentazione e rischiando acrobazie dagli esiti incerti), però le mostro in questo articolo, con due parole di contorno.

L’argomento del panel, a cui ho partecipato insieme allo scrittore Dario Tonani, verteva su un tema complesso e ed estremamente stimolante: “Metamorfosi, ibridazioni, alienità”, tre elementi su cui ho  riflettuto a lungo, soprattutto durante la stesura del mio secondo romanzo, “Il sangue delle madri”. Grazie all’analisi, alle discussioni e alle critiche di lettrici/lettori e di studiose/i che si erano confrontate con “Le ombre di Morjegrad” ho avuto così modo di assumere più consapevolezza su ciò che ho fatto vivere ai miei personaggi, e su ciò che volevo raccontare di loro e attraverso loro.

In effetti, le mie protagoniste sono per la maggior parte cyborg: metafore viventi di trasformazione, più o meno profonda, dell’essere “di confine”, del sentirsi creature in equilibrio fra i mondi.

Nell’universo di Morjegrad, la trasformazione eteronoma del corpo avviene attraverso due modalità: attraverso l’inoculazione del SO.K.A.R., organismo biotech originario del pianeta, in grado di ripristinare i tessuti organici danneggiati (e non solo, agisce anche ad altre profondità… ma ne parlerò più oltre); e attraverso l’impianto di innesti di vario tipo, cioè elementi sintetici, meccanici o elettronici che fungono da miglioramenti fisico/funzionali per consentire agli operai, spesso impiegati in contesti tossici, di essere più resistenti. 

Una domanda del pubblico, proveniente dall’attenta studiosa Giuliana Misserville, ha posto l’accento sulla funzione gerarchica assunta da questi upgrade: in effetti, avrei potuto sottolineare che mentre gli operai di Morjegrad, costretti non solo a lavorare, ma anche a vivere in un contesto estremamente degradato, sono gravati da forme grezze, sperimentali e molto vistose di innesti, gli abitanti dell’Acropoli (l’aristocrazia industriale che domina il pianeta) possono fruire di upgrade molto più raffinati e meno “visibili” che consentono loro di guarire dalle malattie, vivere più a lungo e quant’altro.

Eppure, gli innesti, anche molto invasivi, possono essere la chiave per evolvere, come nel credo visionario di Magistra Joanna (“Il sangue delle madri”): nel locale-museo del Diatomea trasforma gli innesti corporei in opere d’arte, e attraverso l’arte dona una atemporale dimensione di libertà ai suoi “figli”, un tempo schiavi impiegati nelle industrie.

Ma a che livello agisce il SO.K.A.R.?

Dipende dal soggetto e dalla qualità della sostanza inoculata, dalla sua diluizione… e da una certa dose di imprevedibilità (perché sì, il SO.K.A.R. è vivo!)

Ho così pensato a  due livelli di azione del SO.K.A.R.: uno più superficiale e uno più profondo.

Il SO.K.A.R. e le protagoniste dell’universo di Morjegrad

Ne “Le ombre di Morjegrad” Alex è il “monstrum”, che subisce una metamorfosi aggressiva a causa di una tipologia di SO.K.A.R. sperimentale, forse compromessa, inoculata durante crudeli esperimenti scientifici nei Laboratori di Antenora. Parallelamente, dopo la fuga dal Livello 9, questa trasformazione fomenta la voglia di vendetta, che nella sua disperazione la rende furiosa e sadica.

Ma il SO.K.A.R. funge anche da interfaccia con innesti di varia natura, consente una grande “fluidità” neurale nel loro utilizzo e ne impedisce i rigetti. Lo sanno bene Artemis, poliziotta cyborg de “Le ombre di Morjegrad” e Nadja, operaia super-specializzata della stazione orbitante Faro, ne “Il sangue delle madri”.

Eppure, in alcuni casi il SO.K.A.R. interferisce con le funzioni neurologiche dell’ospite, portando a conseguenze quasi paranormali: Michelle (“Le ombre di Morjegrad”), ragazzina-soldato rapita dopo essere stata oggetto di sperimentazione, è in grado di visualizzare e rendere visibili al prossimo versioni distorte della realtà, evocando intorno a sé un mondo immaginario. Per lei Jesen Avenue, un quartiere autunnale protagonista di una fiaba, diventa una fantasia di pace in grado di riequilibrare l’orrore che la circonda, e di cui è costretta a diventare artefice.

Infine, c’è una tipologia di SO.K.A.R. di altissimo livello, in grado di trasformare chi lo “indossa” in qualcosa di più di un essere umano: ma l’invulnerabilità è davvero qualcosa di così desiderabile? “Evoluzione” non potrebbe forse essere, semplicemente, la presa di coscienza di sé attraverso il fatto di prendersi cura del proprio passato e/o dei propri sentimenti? Per Nebra, per esempio, che nasconde il senso di colpa nel tessuto sintetico sostituito alle cicatrici, gli innesti proteggono un passato il cui dolore potrà scrollarsi di dosso soltanto quando sarà pronta a evolvere davvero.

A livello profondo, infatti, il SO.K.A.R. agisce in modo diverso.

Per esempio, raccoglie una sorta di impronta della coscienza di chi lo indossa, e la conserva, se ne prende cura anche dopo la morte. Il “cuore” di Alex raggiunge Sarah; le anime dei minatori perduti nella montagna diventano uno stormo di petali la cui voce misteriosa viene raccolta da Nadja. È un’impronta che per esistere richiede relazione, un ascoltatore o un osservatore, quasi si trattasse di un’entità “quantistica”.

E in effetti Nadja ascolta le voci dei minatori morti, grazie al suo impianto percettivo sperimentale, intriso di SO.K.A.R., prima di con-fondersi con loro in un’esperienza empatica. Così come Artemis, attraverso il SO.K.A.R., ascolta Charlie, una voce fantasmatica che non vuole essere dimenticata ed è la vittima di un brutale omicidio nel racconto “Ninfe sbranate”.

Insomma: la perdita del senso, lo smarrimento, l’alienazione e la conflittualità legata al proprio stato ontologico di essere-sul-confine, diminuisce in proporzione all’aumentare di un’autoconsapevolezza che coincide con l’ascolto di sé/dell’altro, uno sviluppo del proprio livello di empatia che spesso, anche inaspettatamente, può essere favorito da alcune caratteristiche del SO.K.A.R… o semplicemente dall’accettazione e dalla comprensione del cambiamento.


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N.B. Disegni a penna e immagini digitali di Francesca Cavallero.